Stefano Sassone, intervista a Tg3 Leonardo
Stefano Sassone è tornato sul tema della gestione dei rifiuti radioattivi, di rilevante interesse in questa fine di anno per via della collocazione delle scorie originate dalla produzione dell’energia nucleare nei decenni trascorsi: “Il deposito nazionale dovrà essere costituito da un luogo, in cui il rischio per l’uomo e per l’ambiente dovrà essere nullo, in una struttura in cui il materiale dovrà essere letteralmente tombato, e di conseguenza non potrà essere in grado di emettere alcuna forma di radioattività nei confronti dell’esterno”. Cosa sono le scorie nucleari, quale la differenza con i rifiuti radioattivi e la consistenza del fenomeno in Italia.
Differenze tra scorie e rifiuti
Qual è la differenza tra scorie e rifiuti radioattivi
Le scorie nucleari sono materiali radioattivi, originati dalla produzione di energia nucleare, che possono assumere uno stato fisico solido e/o liquido.
I rifiuti radioattivi sono quelli originati dallo svolgimento delle attività antropiche nel loro complesso, nell’ambito delle quali sono impiegati suddetti materiali radioattivi.
Da dove nascono i rifiuti radioattivi
Pertanto, i rifiuti radioattivi vengono costituiti dalle scorie nucleari e dai materiali di scarto provenienti da altre attività, quali:
- le attività legate alla medicina nucleare[1];
- la produzione di talune apparecchiature industriali[2];
- lo svolgimento di attività di ricerca.
le scorie derivano dall’attività di produzione di energia nucleare, che in Italia si è svolta tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘80
E’ sorta, dal 1987 in avanti, anno in cui l’italia ha rinunciato mediante un referendum, al nucleare, l’esigenza di dovere gestire rifiuti, ma in particolare, le scorie radioattive
Sappiamo tutti che le scorie nucleari, e, in generale, rifiuti radioattivi sono pericolosi.
Ciò è dovuto alle radiazioni emesse da queste particelle, da cui è necessario proteggersi; laddove esse siano concentrate oltre una determinata quantità e qualità possono, rappresentare un rischio per la salute dell’uomo e per l’ambiente.
Qualora ciò si verifica, sorge la questione di:
- come ed in quale modo sia possibile contenere il fenomeno e non recare danni per il genere umano e per le matrici ambientali, ovvero occorre individuarne le corrette modalità di smaltimento;
- individuare le migliori modalità di smaltimento di tali rifiuti.
Come funziona il ciclo del trattamento
In merito al ciclo di trattamento dei rifiuti radioattivi, occorre puntualizzare che la nostra normativa ambientale sul punto prevede che l’esito della gestione di un rifiuto una volta divenuto tale, in generale possa essere costituito alternativamente dal suo recupero (laddove chi ne realizza la produzione ne scorga la possibilità che esso sia reintrodotto nel ciclo economico perché sussiste un suo valore), oppure dallo smaltimento (ove, al contrario, ciò non avviene).
Al contrario, l’unico esito possibile per il materiale in esame è lo smaltimento.
Qual è il principio fondamentale di gestione dei rifiuti radioattivi
Il principio fondamentale su cui si basa la gestione dei rifiuti radioattivi, ovvero il loro smaltimento, prevede:
- la loro raccolta;
- il loro successivo isolamento dall’ambiente (concentrare e trattenere) per un tempo sufficiente a far decadere la radioattività a livelli non più pericolosi per la salute dell’uomo e la salvaguardia dell’ambiente.
Come si svolge il ciclo di trattamento dei rifiuti radioattivi
In particolare, in Italia la gestione delle scorie e dei rifiuti radioattivi, si articola in più fasi:
- caratterizzazione, ovvero quella in cui vengono svolte molteplici analisi e misurazioni finalizzare a stabilire determinare le caratteristiche chimico-fisiche e radiologiche della sostanza[3];
- trattamento, ovvero quella in cui essi vengono sottoposti a talune operazioni tese a modificare forma fisica e/o composizione chimica, per diminuire il volume e prepararli per la successiva attività di condizionamento[4];
- condizionamento, mediante i quali essi è reso vengono resi idonei al trasporto, allo stoccaggio temporaneo e al conferimento[5];
- stoccaggio, ovvero il raggruppamento in depositi temporanei dedicati, per consentire l’attenuazione del suo contenuto radiologico, ad un livello tale da indirizzarlo alla soluzione di smaltimento più adeguata
- infine, lo smaltimento, che rappresenta il momento del conferimento presso un deposito, dove del rifiuto, in modo definitivo, ne viene chiuso il ciclo di vita.
Come verranno gestite le scorie radioattive
A proposito dello smaltimento e della collocazione del rifiuto radioattivo in deposito, occorre puntualizzare che il nostro paese ha innanzitutto stoccato i rifiuti all’interno di decine di depositi temporanei presenti nel Paese, provenienti per:
- la maggior parte (e quindi prodotti) dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari;
- la minore quota dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industria e ricerca;
Nel futuro viene previsto il loro accumulo, in via definitiva (ovvero nel loro smaltimento) presso il c.d. “Deposito nazionale”[6], una infrastruttura ambientale di superficie che permetterà di sistemare definitivamente in sicurezza i materiali radioattivi[7].
Verrà costituito dalle strutture per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e da quelle per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi a media e alta attività (Così, infatti, vengono classificati dal nostro Legislatore), che dovranno essere successivamente trasferiti in un deposito geologico idoneo alla loro sistemazione definitiva;
Insieme al Deposito Nazionale verrà realizzato il Parco Tecnologico, un centro di ricerca aperto a collaborazioni internazionali, nel quale si svolgeranno attività nel campo energetico, della gestione dei rifiuti e dello sviluppo sostenibile[8].
Quali sono i volumi attuali in Italia
La maggiorparte del materiale radioattivo che può nuocere alla salute dell’uomo e dell’ambiente viene costituito dalle scorie radioattive, ovvero è originato dai residui della produzione di energia nucleare;
secondo i dati resi disponibili a riguardo delle scorie nucleari gestite da Sogin[9], la Società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, essi sono pari a circa 16.000 metri cubi[10];
La maggiore e rilevante entità dei rifiuti radioattivi è originata dal nostro impegno nel nucleare fra i primi in Europa.
La rilevante entità del dato origina dal fatto che, nel panorama europeo, il nostro Paese rappresenta quello che ha mosso i primi passi nell’utilizzo dell’energia nucleare.
Infatti, risale al 1958, a Latina, la costruzione della prima centrale elettronucleare (si trattava di un reattore raffreddato a gas), e successivamente, tra gli anni Sessanta e gli anni ’80 furono attivate altre tre centrali, l’ultima nel 1981, l’impianto di Caorso, giungendo complessivamente a quattro centrali installate e funzionanti.
Nel novembre 1987, tuttavia, con un referendum gli italiani si espressero a larga maggioranza in favore di tre quesiti che fissavano delle restrizioni all’attività nucleare.
A seguito di questo referendum il Governo italiano decise di fermare il primo di questi, quello di latina (un altro, quello di Garigliano era già fermo, per un guasto, dal 1978), e nel 1990 venne presa anche la decisione definitiva di disattivare gli impianti di Trino e Caorso.
Da quel momento in avanti, è sorta l’esigenza di:
- mantenere in sicurezza dell’impianto;
- allontanare il combustibile nucleare esaurito;
- decontaminare e smantellare le installazioni nucleari;
- opportunamente gestire e mettere in sicurezza le scorie.
, ovvero, di avviare le c.d. operazioni di “decommissioning”, l’ultima fase del ciclo di vita di un impianto nucleare, che prevede, per il nostro Paese, da ultimo, il loro trasferimento in luogo sicuro, individuato nel c.d. “Deposito Nazionale”[11].
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[1] Nell’ambito della c.d. “medicina nucleare”, è possibile che talune applicazioni comportino l’utilizzo di tale materiale. E’ il caso di quelle diagnostiche (ad esempio, varie sostanze radioattive sono utilizzate per diagnosticare alcune patologie, in quanto sono in grado di fornire informazioni utili all’elaborazione di immagini), terapeutiche (ad esempio, in talune terapie vengono impiegati radiofarmaci per distruggere le cellule cancerogene); di ricerca (ad esempio per lo svolgimento di talune analisi di laboratorio finalizzate alla produzione dei radiofarmaci e alla definizione ottimale dei loro dosaggi vengono impiegati materiali di questo tipo).
[2] Nello svolgimento di attività industriale, spesso per mezzo di sorgenti sigillate, si dà luogo a radioattività (i.e.: gammagrafia industriale, irraggiamento, ecc…).
[3] La caratterizzazione viene attuata lungo varie fasi del ciclo di vita del rifiuto radioattivo, ordinatamente per: a) definire le modalità di trattamento e condizionamento; b) monitorare l’andamento del processo; c) verificare la correttezza dei trattamenti e del condizionamento eseguiti sul rifiuto.
[4] Il trattamento da effettuare dipende dalle caratteristiche del rifiuto: forma fisica e geometrica, tipo di materiale, contenuto radiologico e chimico.
[5] Ciò prevede cementazione (utilizzando malte cementizie tecnologicamente avanzate e ciascuna adeguata alle specifiche caratteristiche del rifiuto da condizionare), e le relative modalità variazione in funzione delle caratteristiche chimiche e radiologiche del rifiuto.
[6] Il Deposito Nazionale sarà integrato con il territorio, anche dal punto di vista paesaggistico. Infatti, una volta completato il riempimento, sarà ricoperto da una collina artificiale, realizzata con materiali impermeabili, che costituirà un’ulteriore protezione, prevenendo anche eventuali infiltrazioni d’acqua. Tale copertura armonizzerà anche visivamente il Deposito con l’ambiente circostante, mediante un manto erboso.
[7] Il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico sarà costruito all’interno di un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al Deposito e 40 al Parco Tecnologico. All’interno dei 110 ettari del Deposito Nazionale, in un’area di circa 10 ettari, sarà collocato il settore di smaltimento per i rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e in un’area di circa 10 ettari i quattro edifici di stoccaggio per i rifiuti radioattivi a media e alta attività. I rimanenti 90 ettari sono destinati alle aree di rispetto, agli impianti per la produzione delle celle e dei moduli, all’impianto per il confezionamento dei moduli, agli edifici per il Controllo Qualità, Analisi radiochimiche, e per i servizi a supporto delle attività. Esso sarà costituito da una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie per il contenimento della radioattività, progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondo gli standard IAEA (International Atomic Energy Agency) e dell’ente di controllo ISIN. Le barriere ingegneristiche di protezione saranno realizzate con specifici conglomerati cementizi armati, garantiti per confinare la radioattività dei rifiuti per il tempo necessario al suo decadimento a livelli paragonabili agli intervalli di variazione della radioattività ambientale.
[8]Sarà un polo di attrazione per l’innovazione scientifica e tecnologica nell’industria e un richiamo per un’occupazione qualificata.
[9] Le quali provengono dagli otto siti nucleari attivi in Italia fino al termine degli anni ’80 (con riferimento alle centrali di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta)), dall’impianto Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria) e dai tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera)), e dal reattore ISPRA-1 situato nel complesso del Centro Comune di Ricerca (CCR) della Commissione Europea di Ispra (Varese).
[10] Sogin precisa che i suddetti quantitativi, variano di anno in anno col progredire del mantenimento in sicurezza, del decommissioning e delle modalità di condizionamento dei rifiuti pregressi.
[11] Si tratta del luogo fisico deputato ad accogliere tali rifiuti. A al proposito, il 30 dicembre del 2020, la Sogin, la società pubblica di gestione del nucleare, ha ricevuto il nullaosta del Governo ed il successivo 5 gennaio 2021, ha provveduto a pubblicare sul sito web https://www.depositonazionale.it/ la documentazione completa, il progetto e la carta dei luoghi, tenuta dal 2015 sotto riservatezza assoluta con minaccia di sanzioni penali per chi ne rivelasse dettagli. Viene progettato al fine di contenere il rilascio indesiderato di materiale in grado di arrecare danno all’uomo e all’ambiente, e verrà costituito da una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie per il contenimento della radioattività, progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondo gli standard IAEA (International Atomic Energy Agency) e dell’ente di controllo ISIN. Le barriere ingegneristiche di protezione saranno realizzate con specifici conglomerati cementizi armati, garantiti per confinare la radioattività dei rifiuti per il tempo necessario al suo decadimento a livelli paragonabili agli intervalli di variazione della radioattività ambientale. Nel dettaglio, all’interno di 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con i rifiuti radioattivi già condizionati, detti manufatti. Nelle celle verranno sistemati definitivamente circa 78.000 metri cubi di rifiuti a molto bassa e bassa attività. Una volta completato il riempimento, le celle saranno ricoperte da una collina artificiale di materiali inerti e impermeabili, che rappresenterà un’ulteriore protezione e permetterà un’armonizzazione dell’infrastruttura con l’ambiente circostante. In un’apposita area del deposito, sarà realizzato un complesso di edifici idoneo allo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività, che resteranno temporaneamente al Deposito, per poi essere sistemati definitivamente in un deposito geologico. Le barriere ingegneristiche del Deposito Nazionale e le caratteristiche del sito dove sarà realizzato garantiranno l’isolamento dei rifiuti radioattivi dall’ambiente per oltre 300 anni, fino al loro decadimento a livelli tali da risultare trascurabili per la salute dell’uomo e l’ambiente.